“E’ tutta questione di volontà” di Lorenza Ercolino

Una lista di nomi storici che sembrano essere gli stessi: Oreste Bottiglieri, Stefano Sgobba, Andrea Sgrosso, Francesco Sorgente, Roberto Napolitano…e, a seguire, "Pepito" Morgera, così come lo conosciamo, Nicola Caiazza, e molti altri ancora. A questi ultimi nel corso degli anni si sono aggiunti, incuriositi dapprima, appassionati e motivati in un secondo momento, molte altre persone. Basti pensare alle prime palestre tra Salerno e Cava, all’OPG di Napoli al Palaroccia di Simone Bonaccia e Co. a Quarto. L’ispirazione nasce dall’educazione della Costiera Amalfitana e dei suoi pionieri, ma anche dal Monte Tifata, la mecca dei primi climbers come Antonio Lampitella che ad Aversa ha realizzato un piccolo nido di arrampicatori locali. In Campania si è trasmessa un eredità nel corso degli anni, eredità di roccia e sudore. Ancora si continua a trasmettere questa tradizione, tra impellenze, difficoltà e solite burocrazie a rallentare le azioni più banali. E i progetti sono tutti in via di sviluppo: dai rapporti con la Fasi, alla richiodatura autonoma del Monte Tifata, che ha visto la partecipazione economica di molti climbers, lasciando il compito più arduo nelle mani degli storici già citati. Per non parlare della nascita di nuove falesie, da Pratella, grazie ad un’idea di Nicola Caiazza supportato persino da amici laziali, alla falesia di Caposele, voluta dal Comune attraverso la sapiente mano d'opera di Bottiglieri e da Morgera.

Dal Faicchio alle cave dove sorge la Cattedrale , dalla Falesia di Lettere al sentiero degli Dei , volute da Francesco Galasso.

Si chiama volontà, la motivazione che spinge a non fermarsi, a non lasciare le cose nel fascio grigio d’ombra, a non accontentarsi coi primi gesti intrapresi, ad andare oltre, cercando un bagliore, un barlume di luce nel prossimo, capace di stimolare, di accendere il fuoco, di inorgoglire.

L’uomo è una scimmia si sa, mantiene di essa ogni singola caratteristica, emotiva, sociale, persino alimentare. E tra queste la pigrizia spesso fa da padrona, lo spinge alla ricerca di tecnologie che possano diminuire la fatica aumentando l’efficacia, il risultato, la resa. Ma questo è il preludio per un discorso antropologico di più ampio respiro.

Ciò che davvero mi sta a cuore e che vorrei sottolineare è la dimensione dirompente di un gesto, di un’azione del profilo umano, sebbene scimmiesco, che stimola a fare il prossimo gesto, ad attivare quella parte del cervello in cui l’appagamento sembra non finire mai, passo dopo passo, risultato dopo risultato, poiché  passa in una prospettiva non più individuale, ma di gruppo, collettiva, e questo stimola alla previsione, ad osservare nel futuro le prossime generazioni, a lasciare un’idea, un senso per il quale si vuol fare ciò che si fa. Questo sta accadendo negli ultimi anni: l’arrampicata campana si predispone a nuovi orizzonti, poiché i soggetti interessati, i protagonisti di un tempo, trasmettono una loro idea per il futuro, per quelli che verranno, e che già osservano, magari modificheranno, ma saranno anch’essi attratti da quella forza di sentirsi eterni insoddisfatti, mossi da quella volontà che contamina e dev’essere contaminata con metodo e perseveranza di chi come tutti noi, è un appassionato di questa disciplina.

Siamo climbers dunque, in quanto tali mossi dalla volontà, che non è propriamente una passione, ma qualcosa di più profondo. Siamo ancora di più, inorgogliti nel nostro essere campani, audaci, caotici e svincolati da gran parte di quelle gelosie che si contestualizzano in ambienti del genere. Sarà perché  l’arrampicata ha giovani natali nella nostra regione, ma, a dire il vero in questa regione lo stimolo più grande è comunque la volontà…di essere sempre in azione, comunque in azione.

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